Fruizione permesso ex lege 104 Superamento del periodo di comporto - Licenziamento Illegittimità
Svolgimento del processo
Con sentenza pubblicata il 27.10.14 la Corte d’appello di Roma
rigettava il reclamo ex art. 1 co. 58 legge n. 92/12 presentato da (...) a r.l. contro la sentenza n. 6276/14 con cui il Tribunale di
Roma, dichiarato illegittimo il licenziamento per superamento del periodo di
comporto intimato a (...) il 19.4.13, aveva condannato la suddetta società a
reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro e a pagarle un'indennità
commisurata all’ultima retribuzione, dal recesso alla reintegra e comunque in
misura non superiore alle 12 mensilità.
Per la cassazione della sentenza ricorre (...) a r.l. affidandosi a quattro motivi, poi ulteriormente
illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.
L’intimata resiste con controricorso.
Motivi
della decisione
1- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione
dell'art. 2110 c.c. e degli artt. 175 e 181 CCNL per il settore terziario,
della distribuzione e dei servizi, atteso che, essendo spirato nel caso di
specie il 18.4.13 il periodo massimo di comporto, prolungato dalla fruizione,
concessa alla lavoratrice, di 120 giorni di aspettativa, la dipendente sarebbe
comunque dovuta tornare al lavoro - il che non era avvenuto -, sicché
legittimamente la società le aveva intimato il licenziamento per superamento
del periodo di comporto, circostanza di fatto necessaria e sufficiente a
legittimare il recesso.
Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione
dell’art. 33 legge n. 104/92 e dell'art. 12 disp. prel. c.c. per avere la sentenza impugnata affermato che
l'assenza della lavoratrice nel giorno 19.4.13 era coperta dalla fruizione d’un
permesso ex lege n. 104/92, permesso che -
contrariamente a quanto ritenuto dai giudici d’appello - ha come presupposto
indispensabile lo svolgimento di prestazione lavorativa, di guisa che per
potere godere di detto permesso la(omissis) sarebbe dovuta rientrare in
servizio prima della scadenza del periodo massimo di aspettativa non retribuita
concessole.
Il terzo motivo prospetta violazione e falsa applicazione
dell'art. 33 legge n. 104/92 in relazione all’art. 20 co. 1° d.l. n. 78/09, convertito in legge n. 102/09, là dove la
gravata pronuncia ha trascurato che il verbale dell'ASL trasmesso dalla (...)
alla società era del tutto illeggibile e che la richiesta dei permessi ex art.
33 cit. presupponeva anche la presentazione all'INPS del modello telematico Hand 3, da trasmettere in copia al datore di lavoro per le
necessarie verifiche, il che non era avvenuto; pertanto - prosegue il ricorso -
al momento in cui la (...) aveva chiesto alla società (il 29.3.13 e il 9.4.13)
di fruire dei permessi de quibus, l'accertamento
della loro spettanza da parte dell’INPS non era ancora intervenuto e, anzi, la
lavoratrice non aveva ancora nemmeno presentato la relativa domanda all’INPS;
inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito, l'INPS non
aveva fatto altro che accogliere la domanda della (...) di poter fruire dei
benefici previsti dalla legge n. 104/92, fermo restando - però - che la
fruizione dei permessi in determinate giornate deve poi essere chiesta al
datore di lavoro; pertanto la società ricorrente, non avendo ricevuto, alla
data del 19.4.13, comunicazione od istanza alcuna dalla lavoratrice né
dall'INPS attestante il diritto alla fruizione dei permessi, legittimamente
aveva intimato il licenziamento.
Il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione
dell'art. 33 legge n. 104/92 e dell'art. 20 co. 1° d.I.
n. 78/09, convertito in legge n. 102/09, in relazione agli artt. 1175 e 1375
c.c., per avere i giudici di merito addossato alla società ricorrente l’onere
di accertare presso l’INPS l’esistenza del provvedimento di concessione dei
benefici ex lege n. 104/92 in favore della (...),
nonostante che dalla richiamata normativa si evinca, al contrario, che è onere
del dipendente (in possesso dei requisiti di legge) chiedere al proprio datore
di lavoro la fruizione dei permessi in discorso; peraltro, la legislazione in
materia di tutela della riservatezza avrebbe impedito al datore di lavoro di
ottenere dall'INPS documenti od informazioni in ordine all'istanza presentata
dalla lavoratrice per ottenere il riconoscimento del diritto ai permessi.
2- Il secondo e il terzo motivo di ricorso - da esaminarsi
congiuntamente e in via prioritaria perché connessi e potenzialmente dirimenti
- sono infondati.
Si legge a pag. 4 dell'impugnata sentenza che in punto di fatto
è stato accertato che prima del 18.4.13 (ultimo giorno di aspettativa non
retribuita) l’odierna controricorrente aveva chiesto e ottenuto il
riconoscimento dello stato di handicap grave da cui deriva il diritto ai
permessi ex art. 33 legge n. 104/92, aveva presentato istanza per la loro
fruizione e questi erano stati accordati proprio il 18.4.13. Tali permessi
erano stati chiesti fin dal 29.3.13 alla società ricorrente.
Si tratta di una ricostruzione in punto di fatto di cui oggi la
società ricorrente non può fornire una versione differente la cui verifica
richieda un approccio diretto agli atti e una loro delibazione nel merito,
operazione non consentita in sede di legittimità.
Sostiene, ancora, la ricorrente che sarebbe stato onere della
lavoratrice comunicarle, prima del 19.4.13, l'avvenuta autorizzazione,
irrilevante essendo a tal fine il verbale della commissione ASL trasmesso dalla
lavoratrice, in quanto illeggibile.
Si tratta, però, di circostanza motivatamente smentita dalla
gravata pronuncia con accertamento in punto di fatto non sindacabile nella
presente sede.
La Corte territoriale ha altresì correttamente aggiunto, quanto
alla comunicazione che l'INPS deve di propria iniziativa inoltrare al datore di
lavoro, che un eventuale ritardo dell'istituto previdenziale non può ridondare
a danno della dipendente.
E ancora, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la
fruizione dei permessi ex lege n. 104/92 non
presuppone un previo rientro in servizio dopo un periodo di assenza per
malattia od aspettativa (non essendo - questa - una condizione prevista dalla
legge), ma soltanto l’attualità del rapporto di lavoro.
In conclusione, non merita censura l'affermazione dei giudici di
merito secondo cui, poiché l'assenza dal lavoro nel giorno 19.4.13 era
imputabile a permesso ex lege n. 104/92 e non ad
assenza, non si è verificato nel caso di specie quel superamento del periodo
massimo di comporto che la società ricorrente ha posto a base dell'intimato
licenziamento.
3- L'infondatezza del secondo e del terzo motivo si riverbera
anche sul primo motivo di ricorso, che muove dall'erroneo presupposto che,
spirato il periodo massimo di comporto in data 18.4.13, la lavoratrice dovesse
intendersi assente dal lavoro (per illegittimo prosieguo dell'aspettativa o
comunque per assenza ingiustificata), mentre - in realtà - in quella data ella
ha legittimamente fruito d’un permesso ex lege n.
104/92.
4- Anche il quarto motivo di ricorso va disatteso: la sentenza
impugnata non ha affatto addossato alla società ricorrente l'onere di accertare
presso l'INPS l’esistenza del provvedimento di concessione dei benefici ex lege n. 104/92 in favore della (...) ma ha asserito che fin
dal 29.3.13 la lavoratrice aveva chiesto alla società ricorrente i permessi ex lege n. 104/92, diritto che le è stato riconosciuto prima
del licenziamento.
5- In conclusione il ricorso è da rigettarsi.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da
dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese
del giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per esborsi e in euro
3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater d.P.R.
n. 115/2002, come modificato dall'art. 1 co. 17 legge 24.12.2012 n. 228, dà
atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1 bis dello stesso articolo 13.
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