sabato 30 maggio 2015

U.S.R. per l’Umbria – Nota prot. n. 6587 del 21/05/2015 – Quesito assenze gravi patologie






Ministero dell’ Istruzione, dellUniversità e della Ricerca

Ufficio Scolastico Regionale per l’Umbria

 

 

Al              Dirigente Scolastico

Ist. Compr. Pietro Vannucci”

Città della Pieve (PG)

 

 

Oggetto: Quesito assenze gravi patologie.

 

In riferimento alla nota della S.V. prot. n. 2136/C2 del 15/05/2015, pari oggetto, con la quale chiede chiarimenti sull’assenza del personale della scuola affetto da gravi patologie, ed in particolare,   cosa deve essere indicato nella documentazione giustificativa per la suddetta assenza qualora venga richiesta una visita specialistica relativa alla grave patologia, si fa presente che la disposizione di riferimento è l’art. 17 comma 9 del CCNL

2006/09 comparto scuola, il quale prevede  che: in caso di gravi patologie che richiedano terapie  temporaneamente  e/o  parzialmente  invalidanti sono  esclusi  dal  computo  dei  giorni  di

assenza per  malattia, di  cui  ai  commi 1  e  8  del  presente  articolo, oltre  ai  giorni di  ricovero ospedaliero o di day hospital anche quelli di assenza dovuti alle conseguenze certificate delle terapie. Pertanto per i giorni anzidetti di assenza spetta lintera retribuzione”.   Considerato che il suddetto articolo parla di conseguenze certificate delle terapie, in detta dizione deve farsi rientrare  qualsiasi  effetto  derivante  dalle  stesse,  facendosi  ricomprendere  anche  le eventuali visite specialistiche che si ritengano necessarie ai fini della corretta effettuazione della  terapia,  purc risulti  con  esattezza  nella  certificazione  e  venga  rilasciata  una specifica attestazione della visita specialistica effettuata e del periodo in cui si è svolta, al fine di giustificare leventuale assenza per l’ intera giornata dal servizio.

 

Il Dirigente

Domenico Petruzzo

Firma autografa sostituita a mezzo stampa, ai sensi

dellart. 3, comma 2 del D.Lgs. n. 39/1993

 

 

Nicola Grillone - tel. 075/5828281 – e. mail: nicola.grillone@istruzione.it .Quesito assenze gravi patologie.

Posta certificata: drum@postacert.istruzione.it

Cassazione: si al licenziamento per l'utilizzo dei social network durante l’orario di lavoro







licenziamento per l'utilizzo dei social network durante l’orario di lavoro

Con sentenza n. 10955 del 27 maggio 2015, la Corte di Cassazione 
ha affermato la legittimità del licenziamento effettuato dal datore 
di lavoro nei confronti di un proprio dipendente che utilizzava, 
a fini personali, Facebook, telefono cellulare e tablet, 
durante l’orario di lavoro.

Tali attività, hanno evidenziato i giudici della Suprema Corte,   
possono interrompere la prestazione lavorativa e creare un danno 
all’azienda in termini di produttività e di sicurezza sul lavoro 
(v. distrazione). Inoltre, hanno statuito come l’eventuale intervento 
dell’azienda per scoprire questa attività del dipendente, attraverso 
la creazione di un falso profilo Facebook, non vìola la privacy del 
lavoratore, né i principi di buona fede e correttezza 
nell’esecuzione del rapporto di lavoro.

La sentenza

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 17 dicembre 2014 – 27 maggio 2015, n. 10955
Presidente Vidiri – Relatore Doronzo

Svolgimento del processo

1. D.D.L., dipendente della P. A. s.r.l. con la qualifica di operaio addetto alle presse stampatrici, è stato licenziato in data 24 settembre 2012 sulla base delle seguenti contestazioni: 1) in data 21/8/2012 si era allontanato dal posto di lavoro per una telefonata privata di circa 15 minuti che gli aveva impedito di intervenire prontamente su di una pressa, bloccata da una lamiera che era rimasta incastrata nei meccanismi; 2) nello stesso giorno era stato trovato, nel suo armadietto aziendale, un dispositivo elettronico (Ipad) accesso e in collegamento con la rete elettrica; 3) nei giorni successivi, in orari esattamente indicati, si era intrattenuto con il suo cellulare a conversare su face book. Il licenziamento è stato intimato per giusta causa, ai sensi dell’art. 1, comma 10, Sez., 1V- Tit. VII del C.C.N.L. di categoria.
1.1. Il D.L. ha presentato ricorso ex art. 18 legge n. 300/1970, come modificato dall’art. 1, comma 421 della legge 28 giugno 2012, n. 92, al Tribunale di Lanciano il quale, con sentenza resa in sede di opposizione contro l’ordinanza con la quale era stata rigettata l’impugnativa di licenziamento, l’ha accolta e ha dichiarato risolto rapporto di lavoro tra le parti con effetto dalla data del licenziamento; ha quindi condannato la società datrice di lavoro a corrispondere al lavoratore un risarcimento del danno pari a ventidue mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Il Tribunale ha infatti ritenuto che i fatti contestati al lavoratore, – non essendo riconducibili a condotte punite dal C.C.N.L. con sanzioni conservative, in ragione della pluralità delle stesse e della loro commissione in un ristretto contesto spazio­temporale -, nondimeno, non integrassero gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo, con la conseguenza che in base al quinto comma dell’art. 18 cit, nel testo modificato, doveva riconoscersi al lavoratore la sola tutela “attenuata” del risarcimento del danno.
1.2. La sentenza è stata reclamata dinanzi alla Corte d’appello dell’Aquila, con impugnazione principale, dal D.L. e, con impugnazione incidentale, dalla P. s.r.l. e la Corte aquilana, con sentenza depositata in data 12 dicembre 2013 ha rigettato il reclamo principale e accolto quello incidentale, rigettando così l’impugnativa di licenziamento proposta dal ricorrente, che ha poi condannato alla restituzione della somma ricevuta in esecuzione della sentenza reclamata. 1.3. La Corte territoriale ha ritenuto che i fatti addebitati al lavoratore siano stati provati attraverso la deposizione del teste Pinto, responsabile del personale; che l’accertamento compiuto dalla società datrice di lavoro delle conversazioni via internet intrattenute dal ricorrente con il suo cellulare nei giorni e per il tempo indicato – accertamento reso possibile attraverso la creazione da parte del responsabile del personale di un “falso profilo di donna su face book” – non costituisse violazione dell’art. 4 della legge n. 300/1070, in difetto dei caratteri della continuità, anelasticità, ìnvasività e compressione dell’autonomia del lavoratore nello svolgimento della sua attività lavorativa,del sistema adottato dalla società per pervenire all’accertamento dei fatti. Ha quindi proceduto al giudizio di proporzionalità tra i fatti accertati e la sanzione arrogata, ritenendo che si fosse in presenza di inadempimenti che esulano dallo schema previsto dall’art. 10 del C.C.N.L., in considerazione del fatto che il lavoratore era stato già sanzionato per fatti analoghi nel 2003 e nel 2009 e che tali precedenti erano stati espressamente richiamati nella lettera di contestazione.
1.4. Contro la sentenza il D.L. propone ricorso per cassazione sostenuto da tre motivi, cui resiste con controricorso la società. Le parti depositano memorie ex art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

In via preliminare deve rilevarsi che è infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione sollevata dalla difesa della P. A. s.r.l. nella memoria ex art. 378 c.p.c., sul presupposto che esso sarebbe stato notificato ai sensi dell’art. 149 c.p.c. l’ l 1 febbraio 2014 (espressamente definito dal notificante, quale “ultimo giorno”), e cioè il sessantunesimo giorno dopo la data di comunicazione della sentenza della Corte aquilana, avvenuta a mezzo PEC il 12 dicembre 2013. In realtà, come si evince dalla stampigliatura in calce al ricorso, apposta dall’ufficiale giudiziario notificatore, l’atto è stato consegnato per la notifica il 10 febbraio 2014, con la conseguenza che il ricorso è tempestivo e, dunque, ammissibile. 1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “la violazione e falsa applicazione dell’art. 4 legge n. 300/1970, dell’art. 18, comma 4 °, legge n. 300/1970 e dell’art. 1175 c. c., in relazione all’art. 360, comma I’, n. 3 c.p. c. per non essersi dichiarato inutilizzabile il controllo a distanza operato sul lavoratore senza la preventiva e indispensabile autorizzazione”. Assume che lo “stratagemma” (così definito dalla corte del merito) adoperato dall’azienda per accertare le sue conversazioni telefoniche via internet durante l’orario di lavoro costituisce una forma di controllo a distanza, vietato dall’art. 4 dello statuto dei lavoratori, trattandosi peraltro di un comportamento di rilievo penale, oltre che posto in violazione dei principi di correttezza e buona fede previsti dall’art. 1175 c.c.
1.2. – Il motivo è infondato.
1.3.- E’ rimasto accertato nella precedente fase di merito che, previa autorizzazione dei vertici aziendali, il responsabile delle risorse umane della P. A. s.r.l. ha creato un falso profilo di donna su face book con richiesta di “amicizia” al D.L., con il quale aveva poi “chattato in più occasioni”, in orari che la stessa azienda aveva riscontrato concomitanti con quelli di lavoro del dipendente, e da posizione, accertata sempre attraverso face-book, coincidente con la zona industriale in cui ha sede lo stabilimento della società.
1.4. – L’art. 4 dello statuto dei lavoratori vieta le apparecchiature di controllo a distanza e subordina ad accordo con le r.s.a. o a specifiche disposizioni dell’Ispettorato del Lavoro l’installazione di quelle apparecchiature, rese necessarie da esigenze organizzative e produttive, da cui può derivare la possibilità di controllo. E’ stato affermato da questa Corte che l’art. 4 ‘:fa parte di quella complessa normativa diretta a contenere in vario modo le manifestazioni del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro che, per le modalità di attuazione incidenti nella sfera della persona, si ritengono lesive della dignità e della riservatezza del lavoratore” (Cass., 17 giugno 2000, n. 8250), sul presupposto –
“espressamente precisato nella Relazione ministeriale – che la vigilanza sul lavoro, ancorché necessaria nell’organizzazione produttiva, vada mantenuta in una dimensione umana, e cioè non esasperata dall’uso di tecnologie che possono rendere la vigilanza stessa continua e anelastica, eliminando ogni zona di riservatezza e di autonomia nello svolgimento del lavoro” (Cass., n. 8250/2000, cit., principi poi ribaditi da Cass., 17 luglio 2007, n. 15892, e da Cass., 23 febbraio 2012, n. 2722).
1.5.- li potere di controllo dei datore di lavoro deve dunque trovare un contemperamento nel diritto alla riservatezza del dipendente, ed anche l’esigenza, pur meritevole di tutela, dei datore di lavoro di evitare condotte illecite da parte dei dipendenti non può assumere portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore. 1.6. – Benché non siano mancati precedenti di segno contrario (Cass., 3 aprile 2002, n. 4746), tale esigenza di tutela della riservatezza del lavoratore sussiste anche con riferimento ai cosiddetti “controlli difensivi” ossia a quei controlli diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori, quando tali comportamenti riguardino l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro e non la tutela di beni estranei al rapporto stesso, ove la sorveglianza venga attuata mediante strumenti che presentino quei requisiti strutturali e quelle potenzialità lesive, la cui utilizzazione è subordinata al previo accordo con il sindacato o all’intervento dell’Ispettorato del lavoro” (Cass., n. 15892/2007, cit.; v. pure Cass., 1 ottobre 2012, n. 16622). In tale ipotesi, è stato precisato, si tratta di “un controllo cd. preterintenzionale che rientra nella previsione del divieto flessibile di cui all’art. 4, comma 2″ (Cass. 23 febbraio 2010 n. 4375). 1.7 – Diversamente, ove il controllo sia diretto non già a verificare l’esatto adempimento delle obbligazioni direttamente scaturenti dal rapporto di lavoro, ma a tutelare beni del patrimonio aziendale ovvero ad impedire la perpetrazione di comportamenti illeciti, si è fuori dallo schema normativo dell’art. 41. n. 300/1970. 1.8. – Si è così ritenuto che l’attività di controllo sulle strutture informatiche aziendali per conoscere il testo di messaggi di posta elettronica, inviati da un dipendente bancario a soggetti cui forniva informazioni acquisite in ragione del servizio, prescinde dalla pura e semplice sorveglianza sull’esecuzione della prestazione lavorativa ed è, invece, diretta ad accertare la perpetrazione di eventuali comportamenti illeciti (poi effettivamente riscontrati) (Cass., n. 2722/2012). Così come è stata ritenuta legittima l’utilizzazione, da parte del datore di lavoro, di registrazioni video operate fuori dall’azienda da un soggetto terzo, estraneo all’impresa e ai lavoratori dipendenti della stessa, per esclusive finalità “difensive” del proprio ufficio e della documentazione in esso custodita (Cass., 28 gennaio 2011, n. 2117).
1.9. – Infine, è stato precisato che le norme poste dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, artt. 2 e 3, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, delimitano la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei suoi interessi con specifiche attribuzioni nell’ambito dell’azienda (rispettivamente con poteri di polizia giudiziaria e di controllo della prestazione lavorativa), ma non escludono il potere dell’imprenditore, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c., di controllare direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica o anche attraverso personale esterno – costituito in ipotesi da dipendenti di una agenzia investigativa – l’adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti già commesse o in corso di esecuzione, e ciò indipendentemente dalle modalità del controllo, che può avvenire anche occultamente, senza che vi ostino né il principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei rapporti né il divieto di cui alla stessa L. n. 300 dei 1970, art. 4, riferito esclusivamente all’uso di apparecchiature per il controllo a distanza (Cass. 10 luglio 2009, n. 16196). 1.10.- Nell’ambito dei controlli cosiddetti “occulti”, la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di affermarne la legittimità, ove gli illeciti del lavoratore non riguardino il mero inadempimento della prestazione lavorativa, ma incidano sul patrimonio aziendale (nella specie, mancata registrazione della vendita da parte dell’addetto alla cassa di un esercizio commerciale ed appropriazione delle somme incassate), e non presuppongono necessariamente illeciti già commessi (Cass., 9 luglio 2008, n. 18821; Cass., 12 giugno 2002, n. 8388; v. Cass., 14 febbraio 2011, n. 3590, che ha precisato che le disposizioni dell’art. 2 dello statuto dei lavoratori non precludono al datore di lavoro di ricorrere ad agenzie investigative – purché queste non sconfinino nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata dall’ari. 3 dello statuto direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori -, restando giustificato l’intervento in questione non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione; e Cass., 2 marzo 2002, n. 3039 che ha ritenuto legittimo il controllo tramite pedinamento di un informatore farmaceutico da parte del capo area; v. pure Cass., 14 luglio 2001, n. 9576, in cui si è ribadita, citando ampia giurisprudenza, la legittimità dei controlli effettuati per il tramite di normali clienti, appositamente contattati, per verificare l’eventuale appropriazione di denaro {ammanchi di cassa)-da parte del personale addetto).
In questo stesso orientamento, si pone da ultimo, Cass., 4 marzo 2014, n. 4984, che ha ritenuto legittimo il controllo svolto attraverso un’agenzia investigativa, finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio dei permessi ex lege n. 104 del 1992, qj art. 33, (suscettibile di rilevanza anche penale), non riguardando l’adempimento della prestazione lavorativa, in quanto effettuato al di fuori dell’orario di lavoro ed in fase di sospensione dell’obbligazione principale di rendere la prestazione lavorativa.
1.11.- Da questo panorama giurisprudenziale, può trarsi il principio della tendenziale ammissibilità dei controlli difensivi “occulti”, anche ad opera di personale estraneo all’organizzazione aziendale, in quanto diretti all’accertamento di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, ferma comunque restando la necessaria esplicazione delle attività di accertamento mediante modalità non eccessivamente invasive e rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti, con le quali l’interesse del datore di lavoro al controllo ed alla difesa della organizzazione produttiva aziendale deve contemperarsi, e, in ogni caso, sempre secondo i canoni generali della correttezza e buona fede contrattuale. 1.12.- Ad avviso del Collegio, la fattispecie in esame rispetta questi limiti e si pone al di fuori del campo di applicazione dell’art. 4 dello statuto dei lavoratori. Infatti, il datore di lavoro ha posto in essere una attività di controllo che non ha avuto ad oggetto l’attività lavorativa più propriamente detta ed il suo esatto adempimento, ma l’eventuale perpetrazione di comportamenti illeciti da parte del dipendente, poi effettivamente riscontrati, e già manifestatisi nei giorni precedenti, allorché il lavoratore era stato sorpreso al telefono lontano dalla pressa cui era addetto (che era così rimasta incustodita per oltre dieci minuti e si era bloccata), ed era stata scoperta la sua detenzione in azienda di un dispositivo elettronico utile per conversazioni via internet.
Il controllo difensivo era dunque destinato ad riscontare e sanzionare un comportamento idoneo a ledere il patrimonio aziendale, sotto il profilo del regolare funzionamento e della sicurezza degli impianti. Si è trattato di un controllo ex post, sollecitato dagli episodi occorsi nei giorni precedenti, e cioè dal riscontro della violazione da parte del dipendente della disposizione aziendale che vieta l’uso del telefono cellulare e lo svolgimento di attività extralavorativa durante l’orario di servizio.
1.13. – Né può dirsi che la creazione del falso profilo face book costituisca, di per sé, violazione dei principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro, attenendo ad una mera modalità di accertamento dell’illecito commesso dal lavoratore, non invasiva né induttiva all’infrazione, avendo funzionato come mera occasione o sollecitazione cui il lavoratore ha prontamente e consapevolmente aderito.
1.14. Altrettanto deve dirsi con riguardo alla localizzazione del dipendente, la quale, peraltro, è avvenuta in conseguenza dell’accesso a face book da cellulare e, quindi, nella presumibile consapevolezza del lavoratore di poter essere localizzato, attraverso il sistema di rilevazione satellitare del suo cellulare.
In ogni caso, è principio affermato dalla giurisprudenza penale che l’attività di indagine volta a seguire i movimenti di un soggetto e a localizzarlo, controllando a distanza la sua presenza in un dato luogo ed in un determinato momento attraverso il sistema di rilevamento satellitare (GPS), costituisce una forma di pedinamento eseguita con strumenti tecnologici, non assimilabile ad attività di intercettazione prevista dall’art. 266 e seguenti c.p.c. (Cass. pen., 13 febbraio 2013, n. 21644), ma piuttosto ad un’attività di investigazione atipica (Cass., pen., 27 novembre 2012, n. 48279), i cui risultati sono senz’altro utilizzabili in sede di formazione del convincimento del giudice (cfr. sul libero apprezzamento delle prove atipiche, Cass., 5 marzo 2010 , n. 5440).
1.14. – Sono invece inammissibili per difetto di autosufficienza le ulteriori doglianze del ricorrente, incentrate sull’inquadrabilità della condotta posta in essere da Gianmarco Pinto, responsabile delle risorse umane della P., e costituita dalla creazione del falso profilo face book, nel reato di cui all’art. 494 c.p. Di tale questione non vi è, infatti, cenno nella sentenza impugnata e la parte, pur asserendo di averla sottoposta alla cognizione dei giudici di merito, non indica in quale momento, in quale atto e in quali termini ciò sarebbe avvenuto, con la precisa indicazione dei dati necessari per il reperimento dell’atto o del verbale di causa in cui la questione sarebbe stata introdotta. Né l’accertamento della rilevanza penale del fatto può essere condotto d’ufficio da questa Corte, poiché la valutazione circa l’esistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi del reato richiede un’indagine tipicamente fattuale, che esula dai limiti del sindacato devoluto a questa Corte. Conseguentemente, sono da dichiararsi inammissibili ai sensi dell’art. 372 c.p.c. i documenti prodotti dal ricorrente unitamente alla memoria difensiva, relativi ad atti del procedimento penale avviato nei confronti del Pinto (decreto penale di condanna e verbali di interrogatorio), poiché essi non riguardano la nullità della sentenza impugnata né l’ammissibilità del ricorso o del controricorso. 2. Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza per “violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c. c., dell’art. 5 legge n. 604/1966, dell’art. 2697 c. c.,
dell’art. 7 legge n.300/ 1970 e dell’art. 18, comma quattro, legge n. 300/1970 in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) per non essersi assolto all’onere
probatorio gravante in capo al datore di lavoro giustificativo del comminato licenziamento. Erronea e carente valutazione delle risultanze probatorie in
relazione all’art. 360 comma primo n. 5), per essersi erroneamente valutate ed interpretate le acquisizioni probatorie agli atti di causa”.
2.1. – Il motivo è inammissibile sotto il profilo della violazione di legge, dal momento che il ricorrente non indica quale affermazione della Corte territoriale si pone in violazione delle norme indicate. Ed invero il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ex art. 360, n. 3, c.p.c., deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere il suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di “errori di diritto” individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle
soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, (cfr. Cass., 8 marzo 2007, n. 5353; Cass., 19 gennaio 2005, n.
1063; Cass., 6 aprile 2006, n. 8106; Cass., 26 giugno 2013, n. 16038; 1 dicembre 2014, n. 25419).
2.2. – Sotto il profilo del vizio di motivazione deve rilevarsi che, nel regime del nuovo art. 360, comma I’, n. 5 c.p.c. (applicabile ratione temporis alla sentenza in esame, in quanto pubblicata dopo il 30° giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge 7 agosto 2012, n. 134), valgono i principi espressi dalle Sezioni unite di questa Corte, che con la sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014, hanno affermato che “L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d. l. 22 giugno 2012, n. 83, cony. in

 legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’ omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale atto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie “.
2.3. – Nel caso di specie, il ricorrente non ha assolto tale onere, avendo omesso di specificare quale tra i fatti principali o secondari non sia stato considerato dal giudice di merito, risolvendosi la censura essenzialmente nell’addebitare alla Corte
di non aver valutato la documentazione esibita dalle parti nel secondo grado del
giudizio – documentazione di cui peraltro non viene indicato né il contenuto né i tempi e i luoghi della sua produzione, con evidente violazione del principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione -; nonché di aver ritenuto provate circostanze di fatto che, invece, non erano state trovate, senza peraltro, anche in tal
caso, riportare integralmente le deposizioni testimoniali che non sarebbero state esattamente interpretate e senza specificare dove sarebbero rinvenibili i verbali in
cui le dette deposizioni sarebbero state trascritte. Infine, introduce questioni nuove, che non risultano affrontate nella sentenza di merito e rispetto alle quali il ricorrente
non fornisce indicazioni sul modo ed il tempo in cui esse sarebbero state introdotte nelle pregresse fasi del giudizio di merito. Ciò vale per la mancata affissione del
codice di disciplinare e per la recidiva, che secondo il suo assunto non avrebbe potuto esser utilizzata dal giudice di merito in quanto i fatti, relativi all’anno 2009,
sarebbero stati archiviati e gli altri, risalenti al 2003, non potevano certo valereá~fini di determinare il licenziamento.
Con riferimento a quest’ultimo aspetto, è sufficiente rilevare che il giudice del merito ne ha tenuto conto ai soli fini della globale valutazione, anche sotto il profilo psicologico, del comportamento del lavoratore e della gravità degli specifici episodi addebitati, non già come fatto costitutivo del diritto di recesso, con la conseguente irrilevanza dell’asserita archiviazione (Cass., 19 dicembre 2006, n. 27104; Cass., 20 ottobre 2009, n. 22162; Cass., 27 marzo 2009, n. 7523; Cass., 19 gennaio 2011, n. 1145).
2.4. – In definitiva, così impostato, il motivo del ricorso si risolve in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate e, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal Giudice di merito cui non può imputarsi d’avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi, giacché soddisfa all’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie che siano state ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo (cfr. tra le tante, Cass., 25 maggio 2006, n. 12446; Cass. 30 marzo 2000 n. 3904; Cass. 6 ottobre 1999 n. 11121).
2.5.- Non sussiste pertanto il denunciato vizio di motivazione il quale, anche nella giurisprudenza precedente all’intervento delle sezioni unite citato, deve emergere dall’esame del ragionamento svolto dal giudice di merito, quale risulta dalla sentenza impugnata, e può ritenersi sussistente solo quando, in quel ragionamento, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettate dalle parti rilevabili, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi da lui vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti dalla ricorrente e, in genere, dalle parti per tutte, Cass., Sez. Un., 25 ottobre 2013, n. 24148; Cass., ord. 7 gennaio 2014, n. 91). 3.- Con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza per “violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c. c., dell’art. 1 legge n. 604/1966, dell’art. 1455 c. c., dell’art. 2697 c. c. e dell’art. 18, comma quarto, legge n. 300/1970 in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3) c.p.c. sotto il profilo della mancata proporzionalità tra il comportamento addebitato al lavoratore e il licenziamento comminatogli. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., dell’art. 1 legge n. 604/1966, degli artt. 9) e 10) sez. IV, titolo VII del C. C. N. L. dei metalmeccanici e dell’art. 18, comma quarto, legge n. 300/1970 in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3) sotto il profilo dell’erronea, incongrua e immotiva applicazione della sanzione del licenziamento comminato al lavoratore”. 3.1.- Il motivo è improcedibile con riferimento alla dedotta violazione delle norme del C.C.N.L. dei metalmeccanici, ai sensi dell’art. 369, comma 2°, n. 4 c.p.c. in difetto della produzione, unitamente al ricorso per cassazione, del contratto collettivo, oltre che di ogni precisa indicazione circa il tempo e il luogo della sua produzione nelle pregresse fasi del giudizio e l’attuale sua collocazione nel fascicolo del giudizio di cassazione.
Quanto al giudizio di proporzionalità, esso è stato condotto dal giudice del merito con rigore, valutando tutti gli elementi di fatto raccolti e complessivamente considerati dai quali ha tratto un giudizio, da un lato, di gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale, dall’altro, di proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per giungere al convincimento che le lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, era tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare.
4. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in € 100,00 per esborsi e 4000 per compensi professionali, oltre oneri accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1, quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.

Sentenza TAR Lazio -Annullamento circolare n. 2/2014 Funzione Pubblica







Sentenza TAR Lazio - Annullamento circolare n. 2/2014 Funzione Pubblica 

Annullata, con sentenza n° 5714 del 17/04/2015, la circolare n° 2/2014 
Presidenza Consiglio dei Ministri-Dipartimento Funzione Pubblica, 
relativa alle assenze dal servizio per visite mediche. Personale 
Amministrativo - Nota Prot. n.7457 del 06/05/2015

INPS - Circolare numero 109 del 27-05-2015
Corresponsione dell'assegno per il nucleo familiare.









Corresponsione dell'assegno per il nucleo familiare. 
Nuovi livelli reddituali per il periodo 1° luglio 2015-30 giugno 2016

Allegato n.1 

mercoledì 27 maggio 2015

Esame di Stato - A.S. 2014/2015







Adempimenti di carattere operativo ed organizzativo relativi all’esame di Stato 

lunedì 25 maggio 2015

Indicazioni operative per lo sciopero unitario scrutini giugno 2015







sciopero unitario scrutini giugno 2015

Indicazioni operative per quanto riguarda l’adesione allo
sciopero proclamato da FLC Cgil, CISL scuola, UIL scuola,
SNALS e GILDA per due giornate consecutive in
concomitanza con l’effettuazione degli scrutini secondo il
calendario di ciascuna scuola

Rilascio on-line del Durc - dal 1° luglio basterà un clic per avere il documento in formato .pdf in tempo reale







Rilascio on-line del Durc
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La certificazione di regolarità contributiva che, peraltro, avrà una validità di 120 giorni  potrà essere utilizzata per ogni finalità richiesta dalla legge (erogazione di sovvenzioni, contributi ecc., nell'ambito delle procedure di appalto e nei lavori privati dell'edilizia, rilascio attestazione SOA) senza bisogno di richiederne ogni volta una nuova. Sarà inoltre possibile utilizzare un DURC ancora valido, sebbene richiesto da altri soggetti, scaricabile liberamente da internet.

I vantaggi del DURC on-line

Da luglio le imprese potranno accedere all'archivio degli Istituti e delle Casse edili per ottenere un DURC in formato .pdf in tempo reale da stampare in azienda. Qualora siano riscontrate carenze contributive, entro 72 ore verranno comunicate all'interessato le cause dell'irregolarità e saranno poi sufficienti pochissimi giorni per regolarizzare la propria posizione ed ottenere il certificato.

DECRETO 30 gennaio 2015

Semplificazione  in  materia  di  documento  unico   di   regolarita'

contributiva (DURC). (15A04239)

(GU n.125 del 1-6-2015)

 

                       IL MINISTRO DEL LAVORO

                      E DELLE POLITICHE SOCIALI

 

                           di concerto con

 

                      IL MINISTRO DELL'ECONOMIA

                           E DELLE FINANZE

                                  e

                 IL MINISTRO PER LA SEMPLIFICAZIONE

                    E LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

 

  Visto l'art. 4 del decreto-legge 20 marzo 2014, n.  34,  convertito

dalla legge 16  maggio  2014,  n.  78,  recante  «Semplificazioni  in

materia di Documento Unico di Regolarita' Contributiva»;

  Visto in particolare il comma 2 del predetto art. 4, che demanda ad

un decreto del Ministro del lavoro  e  delle  politiche  sociali,  di

concerto con il Ministro dell'economia  e  delle  finanze  e,  per  i

profili di competenza, con il Ministro per la  semplificazione  e  la

pubblica amministrazione, sentiti I.N.P.S. e INAIL e  la  Commissione

Nazionale Paritetica per le Casse Edili (CNCE),  la  definizione  dei

«requisiti di regolarita', i contenuti e le modalita' della  verifica

nonche' le ipotesi di esclusione di cui al comma 1» del predetto art.

4;

  Visto l'art. 4, comma 3, del decreto-legge 20 marzo  2014,  n.  34,

convertito, con modificazioni, dalla legge 16  maggio  2014,  n.  78,

secondo cui, dalla data di entrata in vigore  del  presente  decreto,

sono abrogate tutte le disposizioni  di  legge  incompatibili  con  i

contenuti del medesimo art. 4;

  Visto l'art. 31, comma 3, del decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69,

convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 98; l'art. 6, comma  11-ter,

del decreto-legge 8 aprile 2013, n.  35,  convertito  dalla  legge  6

giugno 2013,  n.  64;  l'art.  10  del  decreto  del  Presidente  del

Consiglio dei ministri del 4 febbraio 2013; l'art. 5, comma 2 lettera

a), del decreto del Ministero dell'interno  29  agosto  2012;  l'art.

13-bis, comma 5, del decreto-legge 7 maggio 2012, n.  52,  convertito

dalla legge 6 luglio 2012, n. 94, nonche'  l'art.  4,  comma  2,  del

decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n.  207,  che

disciplinano specifiche ipotesi e modalita' di rilascio del Documento

Unico di Regolarita' Contributiva (DURC);

  Sentiti l'INPS, l'INAIL e la Commissione Nazionale  Paritetica  per

le Casse Edili (CNCE) nelle riunioni tenute il 25 marzo, il  15,  20,

23 maggio 2014 nonche' il 31 ottobre 2014;

  Considerata la complessita'  degli  interventi  di  implementazione

degli applicativi necessari per la messa a punto della  procedura  di

verifica  della  regolarita'  contributiva  in  tempo  reale   e   la

conseguente necessita' di disporre  di  un  congruo  lasso  di  tempo

dall'emanazione del presente decreto;

                              Decreta:

                               Art. 1

    Soggetti abilitati alla verifica di regolarita' contributiva

 

  1.  Sono  abilitati  ad  effettuare  la  verifica  di   regolarita'

contributiva di cui all'art. 2, in relazione alle  finalita'  per  le

quali e' richiesto il possesso del  Documento  Unico  di  Regolarita'

Contributiva (DURC) ai sensi della vigente normativa:

    a) i soggetti di cui all'art. 3, comma 1, lettera b), del decreto

del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207;

    b) gli Organismi di attestazione SOA;

    c)  le  amministrazioni  pubbliche  concedenti,  anche  ai  sensi

dell'art. 90, comma 9, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81;

    d) le amministrazioni pubbliche procedenti, i concessionari ed  i

gestori di pubblici servizi che agiscono ai  sensi  del  decreto  del

Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445;

    e) l'impresa o il lavoratore autonomo in relazione  alla  propria

posizione contributiva o, previa delega dell'impresa o del lavoratore

autonomo medesimo, chiunque vi abbia interesse;

    f) le banche o gli  intermediari  finanziari,  previa  delega  da

parte del soggetto titolare del credito, in relazione  alle  cessioni

dei crediti certificati ai sensi dell'art.  9  del  decreto-legge  29

novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge  28

gennaio 2009, n. 2 e dell'art. 37, comma 7-bis, del decreto legge  24

aprile 2014, n. 66, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  23

giugno 2014, n. 89.

                               Art. 2

 

 

                Verifica di regolarita' contributiva

 

  1. I soggetti di cui all'art. 1 possono verificare in tempo  reale,

con le modalita' di cui all'art. 6, la regolarita'  contributiva  nei

confronti dell'INPS, dell'INAIL e,  per  le  imprese  classificate  o

classificabili  ai  fini  previdenziali  nel  settore   industria   o

artigianato per le attivita' dell'edilizia,  delle  Casse  edili.  La

verifica e' effettuata nei confronti  dei  datori  di  lavoro  e  dei

lavoratori autonomi ai quali e' richiesto il possesso  del  Documento

Unico di Regolarita'  Contributiva  (DURC)  ai  sensi  della  vigente

normativa. Ai sensi dell'art. 2, comma  1,  lettera  h)  del  decreto

legislativo 10 settembre 2003, n. 276, le Casse edili  competenti  ad

attestare la  regolarita'  contributiva  sono  esclusivamente  quelle

costituite da una o piu' associazioni dei datori e dei prestatori  di

lavoro stipulanti il contratto collettivo nazionale e che siano,  per

ciascuna  parte,  comparativamente  piu'  rappresentative  sul  piano

nazionale.

  2. Il documento di cui all'art.  7,  generato  dall'esito  positivo

della  verifica,  fatte  salve  le  esclusioni  di  cui  all'art.  9,

sostituisce  ad  ogni  effetto  il  Documento  Unico  di  Regolarita'

Contributiva (DURC) previsto:

    a) per l'erogazione di sovvenzioni, contributi,  sussidi,  ausili

finanziari e vantaggi economici, di qualunque genere, compresi quelli

di cui all'art. 1, comma 553, della legge 23 dicembre 2005, n. 266;

    b) nell'ambito delle procedure di appalto  di  opere,  servizi  e

forniture pubblici e nei lavori privati dell'edilizia;

    c) per il rilascio dell'attestazione SOA.

                               Art. 3

 

                      Requisiti di regolarita'

 

  1.  La  verifica  della  regolarita'  in  tempo  reale  riguarda  i

pagamenti dovuti dall'impresa in relazione ai lavoratori  subordinati

e a quelli impiegati con contratto  di  collaborazione  coordinata  e

continuativa, che operano nell'impresa stessa  nonche',  i  pagamenti

dovuti dai lavoratori autonomi, scaduti sino  all'ultimo  giorno  del

secondo mese antecedente a quello in cui la verifica e' effettuata, a

condizione che sia scaduto anche il termine  di  presentazione  delle

relative denunce retributive.

  2. La regolarita' sussiste comunque in caso di:

    a) rateizzazioni concesse dall'INPS,  dall'INAIL  o  dalle  Casse

edili  ovvero  dagli  Agenti  della  riscossione  sulla  base   delle

disposizioni di legge e dei rispettivi regolamenti;

    b)  sospensione  dei   pagamenti   in   forza   di   disposizioni

legislative;

    c) crediti in fase amministrativa oggetto di compensazione per la

quale sia stato verificato il credito,  nelle  forme  previste  dalla

legge o dalle disposizioni emanate dagli Enti preposti alla  verifica

e che sia stata accettata dai medesimi Enti;

    d) crediti in fase  amministrativa  in  pendenza  di  contenzioso

amministrativo sino alla decisione che respinge il ricorso;

    e) crediti in fase  amministrativa  in  pendenza  di  contenzioso

giudiziario sino al passaggio  in  giudicato  della  sentenza,  salva

l'ipotesi cui all'art.  24,  comma  3,  del  decreto  legislativo  26

febbraio 1999, n. 46;

    f) crediti affidati per il recupero agli Agenti della riscossione

per i quali sia stata  disposta  la  sospensione  della  cartella  di

pagamento o dell'avviso di addebito a seguito di ricorso giudiziario.

  3. La regolarita' sussiste, inoltre, in presenza di uno scostamento

non grave tra le somme dovute e quelle  versate,  con  riferimento  a

ciascun Istituto previdenziale ed a  ciascuna  Cassa  edile.  Non  si

considera grave lo scostamento tra le somme dovute e  quelle  versate

con riferimento a ciascuna Gestione nella  quale  l'omissione  si  e'

determinata che risulti pari o inferiore ad € 150,00  comprensivi  di

eventuali accessori di legge.

                               Art. 4

 

 

                       Assenza di regolarita'

 

  1. Qualora non sia possibile attestare la regolarita'  contributiva

in tempo reale e fatte salve le ipotesi di esclusione di cui all'art.

9,  l'INPS,  l'INAIL  e  le  Casse  edili  trasmettono  tramite  PEC,

all'interessato o al soggetto da esso delegato ai sensi  dell'art.  1

della legge 11 gennaio 1979, n.  12,  l'invito  a  regolarizzare  con

indicazione  analitica  delle  cause  di  irregolarita'  rilevate  da

ciascuno degli Enti tenuti al controllo.

  2. L'interessato, avvalendosi delle procedure in uso presso ciascun

Ente, puo' regolarizzare la propria posizione entro  un  termine  non

superiore a 15 giorni dalla notifica dell'invito di cui al  comma  1.

L'invito a regolarizzare impedisce ulteriori verifiche e  ha  effetto

per tutte le interrogazioni intervenute durante il  predetto  termine

di 15 giorni e comunque per un periodo  non  superiore  a  30  giorni

dall'interrogazione che lo ha originato.

  3. La regolarizzazione entro il termine  di  15  giorni  genera  il

Documento in formato «pdf» di cui all'art. 7.

  4. Decorso inutilmente il termine di 15 giorni di cui al comma 2 la

risultanza negativa della verifica  e'  comunicata  ai  soggetti  che

hanno effettuato l'interrogazione con  indicazione  degli  importi  a

debito e delle cause di irregolarita'.

                               Art. 5

 

 

                        Procedure concorsuali

 

  1. In caso di concordato con continuita' aziendale di cui  all'art.

186-bis del regio  decreto  16  marzo  1942,  n.  267,  l'impresa  si

considera regolare nel periodo intercorrente tra la pubblicazione del

ricorso nel registro delle imprese e il decreto  di  omologazione,  a

condizione che nel piano di  cui  all'art.  161  del  medesimo  regio

decreto sia prevista l'integrale soddisfazione dei crediti dell'INPS,

dell'INAIL e delle Casse edili e dei relativi accessori di legge.

  2. In caso di fallimento con esercizio provvisorio di cui  all'art.

104 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, la regolarita'  sussiste

con riferimento agli obblighi contributivi  nei  confronti  di  INPS,

INAIL e Casse edili scaduti anteriormente alla data di autorizzazione

all'esercizio provvisorio a condizione  che  risultino  essere  stati

insinuati.

  3. In caso di  amministrazione  straordinaria  di  cui  al  decreto

legislativo 8 luglio 1999, n. 270, l'impresa si considera regolare  a

condizione che i debiti contributivi nei confronti di INPS,  INAIL  e

Casse edili scaduti anteriormente alla data  della  dichiarazione  di

apertura della medesima procedura risultino essere stati insinuati.

  4. Le imprese che presentano una proposta di  accordo  sui  crediti

contributivi ai sensi dell'art. 182-ter del regio  decreto  16  marzo

1942,  n.  267,  nell'ambito   del   concordato   preventivo   ovvero

nell'ambito delle trattative per l'accordo  di  ristrutturazione  dei

debiti disciplinati rispettivamente dagli articoli 160 e 182-bis  del

medesimo regio  decreto,  si  considerano  regolari  per  il  periodo

intercorrente tra la data di pubblicazione dell'accordo nel  registro

delle imprese e il decreto di omologazione  dell'accordo  stesso,  se

nel piano di ristrutturazione e' previsto  il  pagamento  parziale  o

anche dilazionato dei debiti  contributivi  nei  confronti  di  INPS,

INAIL e Casse edili e dei relativi accessori di legge,  nel  rispetto

delle condizioni e dei limiti previsti per i crediti di INPS e  INAIL

dagli articoli 1 e 3 del decreto ministeriale 4 agosto 2009.

  5. Nelle  ipotesi  di  cui  ai  commi  precedenti,  l'impresa  deve

comunque essere regolare con riferimento agli  obblighi  contributivi

riferiti  ai  periodi  decorrenti,  rispettivamente,  dalla  data  di

pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese, dalla  data  di

autorizzazione all'esercizio provvisorio, dalla  data  di  ammissione

all'amministrazione straordinaria e dalla data di presentazione della

proposta di accordo sui crediti contributivi.

                               Art. 6

 

 

                      Modalita' della verifica

 

  1. La verifica di cui all'art. 2 e' attivata dai  soggetti  di  cui

all'art. 1, in possesso di specifiche credenziali,  tramite  un'unica

interrogazione negli archivi  dell'INPS,  dell'INAIL  e  delle  Casse

edili che, anche in cooperazione applicativa, operano in integrazione

e  riconoscimento  reciproco,  indicando  esclusivamente  il   codice

fiscale del soggetto da verificare.

  2. La verifica puo' essere effettuata, per conto  dell'interessato,

da un consulente del lavoro nonche' dai soggetti di  cui  all'art.  1

della legge 11 gennaio 1979, n.  12,  nonche'  dagli  altri  soggetti

abilitati da norme speciali.

  3. Qualora, in riferimento al soggetto per il quale  si  chiede  la

verifica, sia gia' stato emesso il Documento di  cui  all'art.  7  in

corso di validita', la procedura rinvia allo stesso Documento.

                               Art. 7

 

 

                              Contenuti

 

  1.  L'esito  positivo  della  verifica  di  regolarita'  genera  un

Documento  in  formato  «pdf»  non  modificabile  avente  i  seguenti

contenuti minimi:

    a) la denominazione o ragione sociale, la sede legale e il codice

fiscale del soggetto nei cui confronti e' effettuata la verifica;

    b) l'iscrizione all'INPS, all'INAIL e, ove previsto,  alle  Casse

edili;

    c) la dichiarazione di regolarita';

    d) il numero  identificativo,  la  data  di  effettuazione  della

verifica e quella di scadenza di validita' del Documento.

  2. Il Documento di cui al comma 1 ha validita' di 120 giorni  dalla

data effettuazione della verifica di cui all'art. 6 ed e' liberamente

consultabile   tramite   le   applicazioni   predisposte   dall'INPS,

dall'INAIL e dalla Commissione  Nazionale  Paritetica  per  le  Casse

Edili (CNCE) nei rispettivi siti internet.

                               Art. 8

 

 

                   Cause ostative alla regolarita'

 

  1. Ai fini del godimento di benefici normativi e contributivi  sono

ostative alla regolarita', ai sensi dell'art. 1,  comma  1175,  della

legge 27 dicembre 2006, n. 296, le violazioni di natura previdenziale

ed in materia  di  tutela  delle  condizioni  di  lavoro  individuate

nell'allegato  A,  che  costituisce  parte  integrante  del  presente

decreto, da parte del datore di lavoro o del dirigente  responsabile,

accertate  con   provvedimenti   amministrativi   o   giurisdizionali

definitivi, inclusa la sentenza di cui all'art.  444  del  codice  di

procedura penale.  Non  rileva  l'eventuale  successiva  sostituzione

dell'autore dell'illecito.

  2. Il godimento  dei  benefici  normativi  e  contributivi  di  cui

all'art. 1, comma 1175, della legge 27  dicembre  2006,  n.  296,  e'

definitivamente precluso per i periodi indicati nell'allegato A ed  a

tal fine non rileva la riabilitazione di cui all'art. 178 del  codice

penale.

  3. Le cause ostative di cui al comma 1 non  sussistono  qualora  il

procedimento  penale  sia   estinto   a   seguito   di   prescrizione

obbligatoria ai sensi  degli  articoli  20  e  seguenti  del  decreto

legislativo 19 dicembre 1994, n. 758,  e  dell'art.  15  del  decreto

legislativo 23 aprile 2004, n. 124,  ovvero  di  oblazione  ai  sensi

degli articoli 162 e 162-bis del codice penale.

  4. Ai fini della regolarita' contributiva l'interessato  e'  tenuto

ad autocertificare alla competente Direzione territoriale del lavoro,

che ne verifica a campione la veridicita', l'inesistenza a suo carico

di provvedimenti,  amministrativi  o  giurisdizionali  definitivi  in

ordine alla commissione  delle  violazioni  di  cui  all'allegato  A,

ovvero il decorso del periodo indicato dallo stesso allegato relativo

a ciascun illecito.

  5. Le cause ostative alla regolarita' sono riferite  esclusivamente

a fatti commessi successivamente all'entrata in  vigore  del  decreto

ministeriale 24 ottobre  2007  pubblicato  nella  Gazzetta  ufficiale

della Repubblica italiana n. 279 del 30 novembre 2007.

                               Art. 9

 

 

                             Esclusioni

 

  1. In via transitoria e comunque non oltre il 1° gennaio 2017 resta

assoggettato alle previgenti modalita' di rilascio il Documento Unico

di Regolarita' Contributiva (DURC) richiesto in applicazione:

    a) dell'art. 13-bis, comma 5, del decreto-legge 7 maggio 2012, n.

52, convertito dalla legge 6 luglio 2012, n. 94;

    b) dell'art. 6, comma 11-ter, del decreto-legge 8 aprile 2013, n.

35, convertito dalla legge 6 giugno 2013, n. 64;

    c) in applicazione dell'art. 5, comma 2 lettera a),  del  decreto

del Ministero dell'Interno 29 agosto 2012;

    d) in applicazione dell'art. 10 del decreto  del  Presidente  del

Consiglio dei ministri del 4 febbraio 2013.

  2.  Per  il   medesimo   periodo   transitorio   restano   altresi'

assoggettate alle previgenti  modalita'  di  rilascio  del  Documento

Unico di Regolarita' Contributiva (DURC) le ipotesi per le  quali  la

verifica di cui all'art. 6  non  e'  possibile  per  l'assenza  delle

necessarie  informazioni  negli  archivi  informatizzati   dell'INPS,

dell'INAIL e delle Casse edili.

                               Art. 10

 

 

                       Norme di coordinamento

 

  1. Ai sensi dell'art. 4, comma 3, del decreto-legge 20 marzo  2014,

n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 maggio 2014,  n.

78, dalla data  di  entrata  in  vigore  del  presente  decreto  sono

abrogate tutte le disposizioni di legge incompatibili con i contenuti

del medesimo art. 4 fra cui, in particolare:

    a) il decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale

24 ottobre 2007, pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica

italiana n. 279 del 30 novembre 2007;

    b) i commi 2, 3 e 4 dell'art. 2 della legge 8 gennaio 1979, n. 7;

    c) i commi 2, 3 e 4 dell'art. 39 della legge 14 agosto  1967,  n.

800;

    d) il comma 4, dell'art. 10, del  decreto  legislativo  del  Capo

provvisorio dello Stato 16 luglio 1947, n. 708.

  2. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto i  soggetti

di cui all'art. 3, comma 1, lettera b), del  decreto  del  Presidente

della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, utilizzano il  Documento  di

cui all'art. 7 in corso di validita' nelle ipotesi indicate dall'art.

31, commi 4 e 6, del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito,

con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98,  e  nell'ipotesi

di cui  al  comma  5  del  medesimo  articolo,  senza  necessita'  di

acquisire un nuovo Documento.

  3. Il  Documento  di  cui  all'art.  7  soddisfa  il  possesso  del

requisito indicato dall'art. 38, comma 1,  lettera  i),  del  decreto

legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonche' assolve all'obbligo della

presentazione della dichiarazione sostitutiva di  cui  agli  articoli

44-bis e 46, comma 1, lettera p), del decreto  del  Presidente  della

Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, ovunque prevista.

  4. Resta ferma in capo ai soggetti di  cui  all'art.  3,  comma  1,

lettera b), del decreto del Presidente  della  Repubblica  5  ottobre

2010, n. 207, l'attivazione del procedimento di cui all'art. 4, comma

2, del decreto del Presidente della Repubblica  5  ottobre  2010,  n.

207, e dell'art. 31, comma 3, del decreto-legge 21  giugno  2013,  n.

69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98.

  5. Le disposizioni di cui al presente  decreto  divengono  efficaci

decorsi 30 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale  della

Repubblica italiana, fatte salve le disposizioni di cui  all'art.  3,

commi 2 e 3, e agli articoli 5 e 8.

    Roma, 30 gennaio 2015

 

          Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali

                               Poletti

 

              Il Ministro dell'economia e delle finanze

                               Padoan

 

                 Il Ministro per la semplificazione

                    e la pubblica amministrazione

                                Madia

 

                                                          Allegato A